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A cavallo a una giumenta: le janare e la notte di San Giovanni

by LUISA NARDECCHIA
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A cavallo a una giumenta: le janare e la notte di San Giovanni

Vi è mai capitato di trovare al mattino la criniera del vostro cavallo tutta intrecciata e difficile da districare? Attenzione: quei torciglioni sulla criniera sono il segno chiarissimo del passaggio di una janara a casa vostra. In occasione del 23 giugno, la “notte di San Giovanni“, vi raccontiamo l’intricata e antica storia delle janare e del loro legame col Battista.


“Le Janas sono porte,
le fate ci portano un po’ di universo
perché non ci sfugga”

Maria Lai

Le janare sono un mix di maghe, fatine, fattucchiere, streghe e guaritrici. Un po’ di tutto questo. La loro considerazione oscilla dal buono al cattivo: dipende da chi ne parla e dai suoi convincimenti.

Buone o cattive che siano, l’unica certezza è che le janare escono di notte per vari motivi.

Primo perché non vogliono essere viste; poi per rapire i cavalli dalle stalle; e infine perché stanno molto meglio quando tutti gli altri… dormono.

Traduci “janara”!

Secondo alcuni, “janara” viene da “ianua”, in latino porta, perché questa figura magica entra nelle case da sotto le porte, come il vento.

Secondo altri studiosi, invece, l’origine del nome janara deriverebbe da Diana, dea della caccia, degli animali selvatici, dei boschi, della luna, e come tale “triplice”.

Come spesso accade, la collettività si appropria del mito, trasformando una tradizione colta in narrazione popolare: ed è così che Diana diventa Jana, e le Dianare Janare.

A cavallo a una giumenta: le janare e la notte di San Giovanni

Iconografia e caratteri

In arte la dea Diana è spesso raffigurata con le ali e circondata di animali, soprattutto cani e cervi: iconografia risalente alla cultura minoica della “Signora delle fiere”, e più tardi assimilata alla Dea greca Artemide, che per i Latini diventa Diana.

In particolare, Diana era la dea della Natura e dell’agricoltura, nonché la protettrice delle donne indipendenti e libere, “che non soggiacciono a mariti padroni“.

Perciò per la tradizione popolare le Janare sarebbero ancora oggi (perché pare esistano ancora) donne solitarie, libere, profondamente legate alla natura, sensitive, esperte di medicina naturale, affascinanti, selvatiche, amanti dei boschi, conoscitrici profonde delle virtù delle erbe e… terribilmente dispettose!

Diana era la dea della Natura, della Caccia e dell'agricoltura, nonché la protettrice delle donne indipendenti e libere, "che non soggiacciono a mariti padroni".
Diana – Louvre

I dispetti delle janare agli allevatori

La vera caratteristica che distingue la janara dalle mille altre figure sacre femminili è questa: la janara è dispettosa. E questo la dice lunga sulle contaminazioni “popolari”.

Bersaglio preferito dei dispetti sono i contadini e gli allevatori, ai quali le janare amano disperdere gli animali, rompere gli strumenti di lavoro, e far marcire provviste e sementi.

Soprattutto, amano spaccare le falci utili alla mietitura, attrezzi che le spaventano al punto da restare paralizzate.

Criniere annodate – 2025

Ma perché?

Non ho trovato risposte a questa domanda. Ma presumo sia perché contadini e allevatori sono l’esatto opposto delle janare: grandi lavoratori, accumulatori seriali, attaccati alla famiglia e ai figli, alla robbba. Insomma… nati pe’ guadagnà e pe’ faticà.

Esattamente l’opposto delle janare, che vivono in compagnia degli animali, raccogliendo erbe, giocando con la luna e danzando le loro magie sotto un albero di noce.

Perché proprio il noce?

Varie leggende di origine longobarda parlano a lungo dei sabba delle donne sotto l’albero di noce.
Dicono sia perché la noce per la sua conformazione somiglia al cervello, quindi, metaforicamente, significherebbe la “possessione” psichica della persona.

Il noce ha lunga tradizione mitologica e letteraria: era l’albero caro Bacco, e le baccanti ci danzavano intorno sfrenate.

Ma – guarda il caso – era anche l’albero sacro a Diana. E lo era, probabilmente, per il suo imponente isolamento, caratteristica tipica anche della dea della caccia: simil cum similibus!

La solitudine dei numeri primi

Infatti il noce, come Diana, è un albero solitario, intorno non ha vegetazione, e scientificamente questo fenomeno si definisce “allelopatia“. La desertificazione circostante è dovuta alla presenza di una sostanza tossica nelle foglie, nella corteccia e nelle radici del noce, lo juglone, che viene rilasciato nel terreno circostante.

Già Plinio il Vecchio (Naturalis Historiae, XVII, 18) notava che proprietas iuglandum noxia, cioè “l’ombra del noce è opprimente e nociva per l’uomo e per tutte le piantagioni vicine“.

Mai dormire sotto a un noce, perché ti viene il mal di testa! diceva mio nonno, che aveva un albero di noci enorme e fruttifero, e che di queste cose ne sapeva parecchio.

Dal misterioso effetto dello juglone, arriviamo così alla danza sotto al noce.

La danza sotto al noce

Come abbiamo detto poco fa parlando delle Baccanti, tante leggende attecchirono sulle danze sotto ai noci, soprattutto nel Sud d’Italia, che resta proverbiale per le sue “streghe di Benevento”, ma anche per le janare e le maciare, tutte figure di donne magiche.

Ne resta traccia in tanti toponimi di varie località italiane: Valle Janara (Parco Nazionale d’Abruzzo), Ponte delle Janare, Monte Janara, Grotta della Janara, solo per citarne alcuni.

La re-interpretazione cristiana

Il cristianesimo reinterpretò la simbologia del noce – come spesso accade (e più volte l’abbiamo sottolineato).

Sant'Antonio sul noce
L. Bastiani, Sant’Antonio sul noce e due Santi, 1505

Per esempio Sant’Agostino indicava la noce come simbolo di Cristo: il mallo sta per la carne, il guscio per la croce (che pare fosse proprio in legno di noce) e il gheriglio significa la sua natura divina.

E che dire di Sant’Antonio sul noce, e della Madonna della noce, che apparve proprio tra le fronde dell’albero? È ovvio che il cristianesimo cercasse di sradicare un’immagine così evocativa per il popolo, e le attribuisse un potere altrettanto vigoroso, ma in senso religioso e positivo, che lo allontanasse dal fascino per il demoniaco da cui il popolo è soggiogato (Ernesto De Martino docet). E anche questo l’abbiamo visto più volte.

Resta il dato di fatto che, per l’immaginario collettivo popolare antico e moderno, il noce caratterizza un luogo, il noce è potente, il noce è magico.

Possedere una terra con un noce equivale ancora oggi a chiamare questa terra: “La Noce”.

Janare, streghe e maciare

La janara, che inizialmente era figura positiva e guaritrice, con la Controriforma diventa una perfida strega.

Witches Flying to Sabbath, by Bernard Zuber

Pare sia stato San Bernardino da Siena, gran fustigatore della stregoneria, il primo a definire le janare col termine “streghe”, dal latino strix, figura femminile orrifica, associata ai rapaci notturni (Ovidio nei Fasti, VI, 101 – 130).

Narra la leggenda che nel maggio 1440 San Bernardino e Giacomo della Marca passarono per Altavilla, dove sarebbe il famoso noce di Benevento, diretti all’Aquila, e alla gente del posto che chiedeva loro di restare per difenderli dalle janare, egli promise la sua protezione dicendo: “Altavilla tremerà, ma non cadrà“. Così Carlo Napolitano nel suo libro sul noce di Benevento.

Tanti studiosi di folklore e tradizioni si sono occupati di queste figure: Ernesto de Martino, Gramsci, Marina Montesano, che sostiene che le striges sarebbero originarie dei Monti Marsicani (cfr. Angizia).

Ma ci sono delle differenze tra le dispettose janare e le perfide streghe e maciare: al Sud sembra che spicchi una certa ferocia che farebbe impallidire le janare.

Antonio Piedimonte definisce invece la janara “erede delle fate delle tradizioni nordiche, poi tragicamente demonizzata”: ma i paesi nordici avrebbero mantenuto l’originaria positività del mito, evitando il Malleus maleficarum controriformistico.

Quando iniziò la “caccia alle streghe”, per identificarle si diceva che alcune di loro mormorano incantesimi sopra fili colorati ed erbe . Fili ed erbe, cioè tessuti e medicamenti, tessitura e raccolta di erbe: proprio ciò di cui si occupa(va?) una janara.

E così, anche se lo scopo delle filastrocche era quello puramente mnemonico di ripetere la composizione del manufatto (detto anche “fattura”) da filare, l’oscurantismo dell’epoca ci vide dentro la mano del diavolo.

Che cosa resta nella nostra cultura popolare di questo antico mito?

Soprattutto restano i nodi. Le janare “annodano” tutto, lavori di tessitura e altre attività manuali legate ai fili, e nel farlo cantano, realizzando così l’in-cantesimo.

Criniere intrecciate – 2025

Da sempre le tessitrici lavorando cantavano nenie e cantilene, con cui invocavano fortuna, benessere, prosperità. Tessendo e cantando, la convinzione era che le invocazioni si “intridessero” nella tela insieme ai fili.

La tessitura è infatti legata alla narrazione magica, perché rappresenta la vita stessa: il textus, il tessuto, è anche il “testo”, cioè la storia ricamata. Negli orditi venivano impresse storie, vere o inventate.

Si tesseva il corredo, la coperta nuziale (si pensi a Catullo), e la tessitura rappresentava la magia della vita (si pensi alle Parche).

Sarà facile, in seguito, il passaggio da questa pratica buona a quella opposta, il “maleficio” (dal latino male-facio), che peraltro si aggancia a miti antichissimi (si pensi alla tunica di Nesso o al mantello di Medea).

Allora la tessitura diventa maleficio, e la tela si “intride” di sortilegi e maledizioni.

E di nuovo, la simbologia cristiana sradicò il mito, annientando il potere dei nodi grazie alla figura sacra di Maria che li scioglie.

Maria che scioglie i nodi
Maria che scioglie i nodi

Paese che vai, strega che trovi

Quella delle donne magiche è una vera e propria jungla di figure, solo in Italia ne contiamo tante e tutte diverse. Figuriamoci se allarghiamo gli orizzonti.

In inglese la parola Witch avrebbe, secondo Max Dashu, una radice indeoeuropea, cioè “weg” che significa “essere forti e vitali”. Identica radice sarebbe, guarda caso, nella parola vegetable.

Come dicevamo poco fa, nei paesi nordici le witches non hanno mai perso la loro positività.

Secondo altri studiosi la radice da cui sarebbe derivata questa parola è *weik- o *wek- , che vuol dire “separare”, “dividere”. E nella nostra cultura greco-latina questo stesso concetto è espresso dal verbo διαβάλλειν, dia-ballein, “separare“, che origina il termine “dia-bolon”, cioè ….”diavolo”!

Quindi, neanche le inglesissime whitches disneyane, con i loro superpoteri positivi tutti anglosassoni, sono poi tanto lontane dall’avere origini diaboliche. E non ditemi che il nome del personaggio di Himerish non richiama quello di Eymerich, il Grande Inquisitore!

Insomma, dove che sia, queste figure mitologiche vivono alterne vicende tra Bene e Male.

Il felice ritorno della fata

Dobbiamo alla cosiddetta New Age, negli anni Sessanta-Settanta del secolo scorso, la riscoperta di tutto quel mondo di spiriti della Natura composto da fate, gnomi, folletti ed elfi benevoli.

La New Age tentò in qualche modo di superare tutti i pregiudizi controriformistici, nonché di dare una risposta al senso di ansia e di vuoto dell’uomo moderno, così incoraggiando varie e diverse forme di animismo che portarono molte donne a identificarsi e a riproporre il mito.

Al livello scientifico dobbiamo invece agli studi antropologici ed etnologici, con la loro attenzione ai miti popolari e al folklore, la riscoperta della positività “folk” della janara quale donna solitaria, guaritrice e conoscitrice di erbe.

Tutta la verità voglio dirvi… sulla scopa

Secondo la tradizione popolare la janara è legata dunque ai nodi, alle cavalle… e alle scope.

Raccontano infatti i “grandi vecchi” degli allevatori che, per evitare il rapimento delle giumente da parte delle janare, si era soliti piazzare una scopa davanti alle porte delle stalle, poiché la janara non poteva resistere alla tentazione di contare i fili della scopa. Conta e riconta, sarebbe venuto il giorno, e lei sarebbe dovuta fuggire alle prime luci.

Ora non ditemi che non avete mai visto le vostre nonne mettere una scopetta di saggina dietro la porta di casa per tenere lontane le streghe! O che non avete mai visto una “scopetta cacciaguai”.

Le scope delle janare, però, non erano fatte di saggina, bensì di erbe. “Scopa” deriva infatti dal latino “scopae”, parola che significa “ramoscelli”. Si trattava di erica scoparia, ginestre, erbe selvatiche.

Ecco perché si fermavano, le janare! Non perché contassero i fili, ma per raccoglierli e usarli per i loro medicamenti da curandere.

Quando la notte è meno scura

Il 23 giugno rappresenta il culmine del solstizio d’estate.

Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo: allora il Sole è allo zenith al Tropico del Cancro e i raggi cadono perpendicolarmente sulla superficie terrestre, riducendo al minimo le ombre.

La notte del 23 giugno è sempre stata considerata la più magica dell’anno astronomico.

I Celti la chiamavano Notte di Litha e accendevano grandi falò.
In Svezia si chiama festa di Midsommara.
A Stonehenge ci si raduna(va) per aspettare l’alba davanti ai monoliti.
In tutto il mondo si accendono fuochi.

Il solstizio a Stonehenge
Stonehenge – United Kingdom

Anche nella tradizione cristiana

Secondo la tradizione cristiana, che celebra San Giovanni Battista il giorno successivo, in questa notte i fantasmi di Salomè e della madre Erodiade, colpevoli della decapitazione di San Giovanni, guidano le streghe in un Sabba notturno.

Ma attenzione! La perfidia delle due donne, amplificata dalle streghe che le accompagnano, viene esorcizzata dalle forze del bene, che reagiscono appendendo aglio ed erbe magiche alle porte delle case e raccogliendo le erbe per la miracolosa acqua di San Giovanni.

Acqua di San Giovanni

Vediamo, ancora una volta, come le tradizioni popolari vadano a creare un melting pot narrativo fino a che le forze del bene annientano quelle del male.

E così, anche nelle tradizione cristiana, le streghe cattive sono sconfitte dalle Dominae Herbarum, le signore delle erbe, le janare.

La cavalcata delle janare

Abbiamo cercato di dimostrare che ancora oggi è viva e profonda, nell’immaginario collettivo, la presenza di queste figure pazzerelle che sono perfino capaci di mettere in fuga le streghe cattive.

Ma c’è un’ultima cosa che resta ancora oggi delle janare.

Dice infatti la tradizione che ancora oggi, di notte, le janare si intrufolano nelle stalle dei cavalli per prendere una giumenta e cavalcarla fino all’alba. Pare sia tutt’oggi il loro divertimento preferito.

Avrebbero inoltre l’abitudine di attorcigliare la criniera della giovane cavalla rapita, lasciando così un segno del loro passaggio.

Perciò, quando al mattino trovate il vostro cavallo sfinito, tutto sciurrato, con i crini pieni di trecce e torciglioni, sappiate… che ha trascorso la notte a portare in groppa una janara!

Luisa Nardecchia – Centro Studi per la Biodiversità PASSIONECAITPR


SITO-BIBLIOGRAFIA

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Ernesto De Martino, Sud e magia. Introduzione di Umberto Galimberti

James George Frazer, Il Ramo d’Oro, l’arte magica e l’evoluzione dei re – prima ediz 1890

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Centro Ricerca Tradizioni Popolari – Franca Molinaro:  Riti e simbologia della scopa, Ottopagine, 2014

Marina Montesano, La Caccia alle streghe, De Vecchi, 1996

Museo Italiano dell’immaginario Folklorico: La janara

Plinio il Vecchio, Naturalis Historiae, XVII, 18: Il noce

Paolo Portone, Le streghe di San Giovanni. Un mito recente in una tradizione arcaica

Paolo Portone, La strega e il crocefisso. Radici cristiane o cristizzate?– Castel Negrino, 2008

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Max Dashu, Streghe e pagane, le donne nella religione popolare europea, 2018

Su Charles Geoffrey Leland e il suo “Il Vangelo delle streghe” si veda Di Fazio, M., Gli etruschi nella cultura popolare italiana del XIX secolo

Symbolon/Diabolon. Simboli, religioni, diritti nell’Europa multiculturale, 2005, a cura di F. Diener, A. Ferrari, V. Pacillo

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Franco Mattarella, Cos’è la Magia e cosa la differenzia dalla religione e dalla divinazione

Carlo Napolitano, Il triangolo stregato: il mistero del noce di Benevento, 2012

Elide Messineo, Il silenzio della noce, 2020

Barbara Serafini, Odino, la tradizione longobarda e il noce di Benevento, Immagini da Sannio, 2021

Luisa Severino, Le janare, streghe agresti del beneventano, Corrire di Napoli 22 giugno 2020

Andrea Bonetti, Microguida alla difesa dalle janare

Silvio Falato, Le janare di Guardia Sanframondi, Centro Ricerca Tradizioni Popolari, 2014

Alessia Dessì, (V.I.V.E.) La Madonna della Noce: il racconto visivo del miracolo

Le noci e i santi

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