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Il Cavallo tra allevamento e affezione: il futuro della filiera equina in Italia

by ANNALISA PARISI
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Il Cavallo tra allevamento e affezione: il futuro della filiera equina in Italia

I dati aggiornati: una fotografia su produzione, consumo e percezione in Italia della filiera Equina

Nel contesto italiano contemporaneo, il cavallo si trova al centro di una dicotomia culturale, simbolica e produttiva che impone riflessioni lucide e documentate. Da un lato, l’animale da lavoro, allevato e selezionato in razze rustiche o specializzate, spesso in aree marginali, continua a rappresentare una risorsa multifunzionale per la ruralità; dall’altro, l’equide è sempre più percepito come animale d’affezione, rendendo problematico il dibattito attorno al suo possibile impiego nella filiera alimentare.

A fare chiarezza sullo stato attuale della produzione e del consumo di carne equina in Italia è un recente studio Ipsos commissionato da Animal Equality Italia, che raccoglie ed elabora dati ufficiali dell’Anagrafe Nazionale Zootecnica (BDN) e delle indagini di mercato aggiornate al 2024. Le evidenze mostrano un’Italia in cui il consumo di carne di cavallo è minoritario e in lieve flessione, confinato a circa il 17% del segmento carnivoro della popolazione, con una maggiore incidenza in regioni come Lombardia e Puglia.

Allevamenti e importazioni: un sistema ibrido

Al 31 dicembre 2024 risultano censiti in Italia 11.394 allevamenti equini con indirizzo carne, per un totale di 46.616 capi. Ma il dato che più sorprende è quello legato alle importazioni: con oltre 25.000 tonnellate di carne equina importata nel 2022, l’Italia detiene il primato mondiale per volumi. I cavalli arrivano prevalentemente da Francia, Polonia e Slovenia e vengono poi destinati alla macellazione su suolo nazionale.

Questo dato, oltre a evidenziare una filiera disomogenea, solleva questioni cruciali dal punto di vista della tracciabilità genetica, sanitaria e zootecnica. Come già osservava il prof. Lukas A. Meinhardt – genetista – la corretta identificazione degli equidi fin dalla nascita (DPA e NON DPA) rappresenta una garanzia imprescindibile non solo per la salute pubblica, ma anche per il corretto funzionamento dei programmi genetici e per la salvaguardia delle razze locali, che non devono essere fagocitate da un mercato opaco e poco controllato.

DPA e NON DPA: nodo cruciale

In Italia ogni cavallo, alla nascita, riceve lo status di DPA (destinato alla produzione alimentare) o NON DPA (non destinato). Tale distinzione, irreversibile, determina il tipo di cure veterinarie ammissibili e garantisce la sicurezza del consumatore finale. Tuttavia, come rileva il report, la corretta applicazione della normativa è tutt’altro che uniforme. La macellazione di cavalli NON DPA in strutture non autorizzate o con documentazione falsificata è una realtà ancora presente, come testimoniano i casi giudiziari raccolti tra il 2016 e il 2025.

Il fenomeno evidenzia una fragilità sistemica che rischia di compromettere la fiducia nel sistema di controllo, nonostante il 48% dei consumatori di carne equina dichiari di ritenere sufficienti i controlli attuali. Preoccupa anche la presenza di medicinali non autorizzati nei soggetti NON DPA che finiscono comunque nella filiera alimentare, con potenziali rischi sanitari.

Percezione culturale: il cavallo tra affezione e tradizione

Il dato forse più eloquente è quello che fotografa la motivazione del non consumo: per la maggioranza degli italiani, il cavallo è oggi percepito come animale da compagnia. Questo passaggio semantico da “animale da produzione” a “soggetto affettivo” segna un cambiamento profondo nella sensibilità collettiva. Se un tempo la carne equina era considerata nutriente e accessibile – soprattutto nei contesti popolari o rurali – oggi è guardata con sospetto o rigetto, non tanto per ragioni etiche universali quanto per una ridefinizione simbolica del ruolo del cavallo nella società.

Allevatori Custodi della Biodiversità
Allevatori Custodi della Biodiversità – in foto Cesidio Petrocco con Nike

Ciò pone questioni aperte per la zootecnia. Come ha spesso sottolineato il prof. Meinhardt, come pure il Prof. Pagnacco e il Prof. Gandini, la selezione zootecnica non può prescindere dalla componente culturale e territoriale del rapporto uomo-animale.

Le razze equine da tiro o da sella, allevate per secoli con finalità agricole, militari o di trasporto, devono oggi trovare nuovi spazi d’uso – dal turismo equestre alla gestione ambientale – che ne giustifichino la conservazione senza scivolare in un oblio identitario o nella retorica esclusiva “dell’affezione”.

Una scelta consapevole

L’indagine Ipsos 2025 restituisce una fotografia nitida di un paese in cui il cavallo continua ad abitare una zona grigia, a metà tra memoria rurale, istanze salutistiche e nuove sensibilità.

Le istituzioni, gli allevatori e le associazioni di razza sono oggi chiamati a interrogarsi non solo su come valorizzare la carne equina nel rispetto delle norme e del benessere animale, ma anche su come conservare il patrimonio genetico e culturale delle razze da tiro e da sella, senza tradire la complessità del loro ruolo nella storia agro-zootecnica del nostro Paese.

La sfida è aperta: rimanere fedeli a un modello agricolo sostenibile, dove il cavallo non sia né feticcio da salotto né scarto di una filiera sommersa, ma attore consapevole di una zootecnia che dialoga con il territorio, la legalità e la biodiversità.

Annalisa Parisi – Centro Studi per la Biodiversità PASSIONECAITPR


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