Dai prodigi agli insulti: quando il Mulo faceva tremare Roma
Se pensate che la macchina del fango sia un’invenzione moderna, non avete mai incrociato la politica romana dell’età triumvirale. C’è stato un tempo in cui il destino della Repubblica non si leggeva solo nelle stelle, ma nell’impossibile parto di una mula, e in cui l’accusa di essere un “mulattiere” poteva segnare un’intera carriera. Vi raccontiamo l’incredibile storia di come un animale sterile e bistrattato divenne l’arma retorica perfetta contro gli arrampicatori sociali, trasformando l’ascesa di uomini come Ventidio Basso in una battaglia tra pregiudizio aristocratico e homines novi. Preparatevi a scoprire il lato zoologico del potere.
Il Mulo e il Potere: come un animale da soma divenne l’insulto politico perfetto nell’antica Roma
Nella spietata arena della politica romana, dove la reputazione era tutto, esisteva un’arma retorica sottile e devastante: il paragone con il mulo. Tra prodigi inquietanti e ascese sociali folgoranti, scopriamo perché questo animale divenne il simbolo del disordine istituzionale e dell’arrampicatore sociale.
Quando pensiamo agli animali nella storia di Roma, la mente corre all’aquila delle legioni o alla lupa capitolina. Eppure, c’è un protagonista silenzioso e bistrattato che racconta molto di più sulle nevrosi della società romana: il mulo.
Animale da fatica per eccellenza, essenziale per l’economia e l’esercito, il mulo non era solo un mezzo di trasporto. Nelle pieghe della letteratura e della propaganda, esso incarnava un paradosso vivente: una creatura “artificiale”, sterile e, per questo, politicamente pericolosa.

L’orrore dell’innaturale
Per l’uomo romano, il mulo non era un semplice incrocio, ma un’invenzione umana che forzava le leggi della natura. Plinio e Varrone ne descrivono l’allevamento con dovizia tecnica, ma sotto la superficie tecnica covava un disagio profondo. Essendo un ibrido sterile, il mulo rappresentava un vicolo cieco biologico.
Questa sterilità proverbiale rendeva qualsiasi eccezione un evento terrificante. Quando si diffondeva la notizia di una mula che aveva partorito, Roma tremava. Non era un miracolo, era un adýnaton, un’impossibilità realizzatasi che segnalava la rottura della pax deorum. Gli annali riferiscono che tali eventi presagivano guerre civili e disastri: accadde nel 50 a.C. prima dello scontro tra Cesare e Pompeo, e di nuovo nel 42 a.C., annunciando il sangue di Filippi.
In particolare, l’anno 42 a.C. viene descritto come il momento dell'”imminente scontro armato tra i cesariani, eredi del dittatore assassinato, e i cesaricidi”. In quell’anno si verificò un prodigio a Roma (il parto di una mula) interpretato come una profezia di una “imminente strage di cittadini” e preludio della guerra civile che avrebbe portato alla fine della Repubblica e alla nascita del Secondo Triumvirato.
Il mulo fertile era il caos che irrompeva nell’ordine costituito.
Dai prodigi agli insulti: quando il Mulo faceva tremare Roma
L’economia del disprezzo
Nonostante il pregiudizio, Roma si muoveva a dorso di mulo. Dall’agricoltura commercializzata delle ville schiavistiche al cursus publicus (il servizio postale imperiale), fino alle salmerie delle legioni, l’impero dipendeva dalla forza e dalla resistenza di questo animale.
Tuttavia, proprio questa utilità ne decretava la condanna sociale. A differenza del cavallo, nobile compagno di guerra e parate, il mulo era lo strumento del profitto, del trasporto merci, di quella ricchezza “sordida” legata al commercio e non alla terra. E chi guidava questi muli, i muliones, veniva automaticamente macchiato dallo stesso stigma: gente vile, utile ma disprezzabile, dedita al guadagno e non alla gloria.
Dai prodigi agli insulti: quando il Mulo faceva tremare Roma
Ventidio Basso: il “Mulo” al Consolato
È qui che la zoologia diventa politica. Nella tarda Repubblica, un periodo di stravolgimenti in cui uomini nuovi emergevano dal nulla scalzando la vecchia aristocrazia, il mulo divenne la metafora perfetta per attaccare l’avversario politico.
L’esempio più lampante è la parabola di Publio Ventidio Basso. Originario del Piceno, portato in trionfo ancora bambino come prigioniero, Ventidio scalò le gerarchie fino a diventare console nel 43 a.C. e a trionfare sui Parti. Ma l’aristocrazia non gli perdonò mai le sue origini.
La propaganda avversaria lo dipinse insistentemente come un ex mulio, un mulattiere che si era arricchito con appalti di trasporti militari.
Il popolo romano, disorientato da queste ascese vertiginose che violavano il mos maiorum, rispose con versi satirici comparsi sui muri dell’Urbe:
“Accorrete tutti, auguri e aruspici! / Un prodigio mai visto s’è prodotto or ora: / colui che strigliava i muli, adesso è fatto console”.
L’insulto era geniale nella sua perfidia: associava Ventidio al prodigio della mula partoriente. Come una mula che genera è un mostro contro natura, così un mulattiere che diventa console è un abominio istituzionale. Ventidio era come il mulo: forte, resistente alle fatiche, capace, ma privo di quella nobiltà di sangue che i Romani consideravano l’unica vera legittimazione al potere.
Dai prodigi agli insulti: quando il Mulo faceva tremare Roma
L’eredità dell’insulto
L’uso politico del mulo non si fermò a Ventidio. Persino l’imperatore Vespasiano, fondatore della dinastia Flavia e uomo di concretezza italica, dovette subire l’onta di essere chiamato “mulattiere” per essersi abbassato al commercio di bestiame in un momento di difficoltà economica.
La storia del mulo romano ci insegna che il pregiudizio è spesso l’ombra dell’utilità. In una società che temeva il cambiamento, chiunque portasse “carichi” nuovi o rompesse gli schemi ereditari veniva trattato come un ibrido pericoloso.
L’Homo Novus, l’uomo che si fa da solo, era per l’aristocrazia senatoria esattamente come un mulo: una creatura artificiale, necessaria per tirare il carro dello Stato nei momenti di crisi, ma destinata a rimanere ontologicamente inferiore al nobile cavallo.
Annalisa Parisi – Centro studi per la Biodiversità PASSIONECAITPR
Bibliografia
Sulla figura del mulo e degli animali a Roma:
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Su Ventidio Basso e la propaganda politica:
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- R. Syme, «Sabinus the Muleteer», in Latomus 17, 1958.
- S. Ratti, «La survie littéraire de Ventidius Bassus ou le destin extraordinaire d’un muletier», in IL 44, 1992.
Sul contesto sociale e politico (Homines Novi e invettive):
- T.P. Wiseman, New Men in the Roman Senate 139 B.C.-14 A.D., Oxford 1971.
- I. Opelt, Die Lateinischen Schimpfwörter und verwandte sprachliche Erscheinungen (sulle invettive e insulti latini), Heidelberg 1965.
- C. Nicolet, L’Ordre équestre à l’époque républicaine (312-43 av. J.-C.), Paris 1966.
- R. Bloch, Prodigi e divinazione nel mondo antico, Roma 1976.